
“Il bello della morte” prese a dire Nevio, “sta nel fatto che non possiamo farci nulla; questo ci salva dalla fatica di arrabattarci a cercare una soluzione, fatica inutile, ci salva dal delirio di onnipotenza di pensare di trovarla, dalla pena di non riuscire. Arriva e pare che ci dica state pure buoni state cheti, questa volta non vi esaurite, questa volta, alla fine, non c’è niente, nessuno sforzo che vi tocca di fare, non vi date pena, non c’è niente da fare.”
Sono partita da questo, non dal suo primo libro perché cercavo la verve della Marchesini… Ho trovato la sua malinconia. Se aveste potuto vedere la mia faccia mentre leggevo le prime pagine, avreste visto la delusione. Ho divorato le pagine, mangiando parole ed interi periodi, alla ricerca di un capitolo che mi facesse trovare la Marchesini che cercavo. L’ho trovata nel capitolo “La torta nuziale” in cui ho tirato un sospiro di sollievo e mi sono goduta un perfetto monologo teatrale. Anche in “Le evidenze” ci sono la sua genialità, l’ironia. Non me la sento di dire “brutto” al libro di una persona che ho sempre ammirato così tanto, probabilmente non ero pronta al suo lato più intimo e meno divertente.